Il Finale. Bellezza Arte Cultura

a cura di MUDIF Museo Diffuso del Finale

Il Finale è terra di bellezza, arte e cultura.
Sono tre entità che sicuramente contribuiscono a creare una percezione di benessere esistenziale non solo in chi percorre il nostro territorio alla ricerca di emozioni legate al paesaggio naturale, ma anche in chi entra in una chiesa e scopre bellezze inattese.

Con voi vorremmo cogliere la “bellezza” del Finale in una delle più splendide chiese liguri, che stupisce chi entra al suo interno, celato da una disadorna facciata seicentesca rimasta incompiuta.

È la basilica di San Biagio in Finalborgo, per la quale valgono ancora le parole scritte ormai molto tempo fa da Piero Torriti, un importante storico dell’arte originario di Pienza, nel Senese, e quindi abituato alla bellezza dell’arte: “Il lusso strabocchevole della parrocchiale finalese non ha paragoni in riviera. I marmi più preziosi si piegano duttili ad ogni capriccio come cera al calor della fiamma. Fastosi polittici rinascimentali… troneggiano in perfetta armonia sugli altari barocchi.”

Ed è proprio in quei “fastosi polittici rinascimentali” che inizia il nostro percorso alla ricerca della bellezza nell’arte del Finale, inseguendo le rappresentazioni che nei primi decenni del Cinquecento, in rapida sequenza, ci hanno proposto artisti profondamente diversi tra loro come origini e estrazioni culturali.

Il “leitmotiv” di questa ricerca è il volto di Caterina d’Alessandria, la bella e nobile principessa egiziana, unica figlia del re Costa, martirizzata agli inizi del IV secolo per il suo rifiuto a sposare l’imperatore per non rinnegare la propria fede. Per questo subì il supplizio della ruota dentata, frantumata per volere divino. Fu così decapitata e dal collo sgorgò latte, segno di purezza; infine, il suo corpo venne trasportato dagli angeli sul monte Sinai, dove sorse il monastero a lei dedicato.

La prima immagine è quella del Martirio della santa, quando le ruote dentate si spezzarono e lei ci appare coronata e in fulgidi abiti principeschi, dai richiami fiamminghi, con gli occhi rivolti al cielo verso un volo di angeli minacciosi con le spade in mano. Il polittico, già grandiosa pala dell’altare maggiore della chiesa domenicana nel Borgo dedicata a Santa Caterina e ora costretto negli angusti spazi di una cappella della navata destra della parrocchiale, è una delle massime opere del piemontese Oddone Pascale da Savigliano, che lo realizzò col patrocinio di Ludovico del Carretto nel 1533.

Questa immagine era stata preceduta, intorno al 1514, dal trittico ancora a fondo d’oro con le Nozze mistiche di Santa Caterina, ricondotto a scuola lombarda, con possibili riferimenti al pavese Lorenzo Fasolo e alla sua bottega. Nel dipinto la santa ci appare di profilo, genuflessa ai piedi della Vergine col Bambino in grembo, colto nel momento in cui infila la vera nel suo dito e la rende sua sposa.

Ma sicuramente l’immagine di maggiore bellezza di Caterina è quella che ci restituisce tra i santi ai lati di San Biagio, il vescovo assiso sul trono al centro della scena, un pittore fiorentino venuto a cercare fortuna a Genova e nella Riviera del Ponente ligure, Raffaele de’ Rossi. È un volto di estrema bellezza, divenuto iconico della committenza dei Del Carretto, essendo comparso per una precisa scelta dell’editore sulla copertina del libro dedicato alle fortune storiche e artistiche di quella stirpe signorile, che tanta parte ebbe nella creazione di un ambiente artistico che oggi svolge ancora a distanza di secoli un suo ruolo nel rendere il Finale luogo di grande cultura e attrattiva.

È ancora a un pittore di origini toscane, in questo caso nativo di San Giminiano nel Senese, che dobbiamo riferirci per l’ultima immagine della santa, che compare nel dipinto della Madonna delle rose, nell’atto di presentare le gerarchie civili alla Vergine assisa in trono, prestigiosa opera di quel Vincenzo Tamagni, che dal 1516 fu collaboratore a Roma di Raffaello nella decorazione delle logge vaticane, vivendo una irripetibile stagione artistica accanto al grande maestro urbinate.

[G.M.]
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