Tra chiese e castelli. “Trekking romanico” nell’entroterra del Finale
a cura di MUDIF Museo Diffuso del Finale
“E così, dopo l’anno Mille, trascorso ormai da tre anni, si ebbe nel mondo, specialmente in Italia e nelle Gallie, un’intensa attività nell’edificare basiliche. Anche se ve n’era già un gran numero, le genti cristiane gareggiavano nell’erigerne di sempre più belle…”.
Così scriveva il cronista medievale Rodulfus Glaber (Rodolfo il Glabro), monaco benedettino francese, di origini borgognone, vissuto tra il 985 circa e la metà dell’XI secolo.
Il passo letterario si riferisce a quella “fioritura” di chiese romaniche che sorsero in Europa in quel periodo, ma non sembra unicamente riferirsi ai cantieri delle grandi basiliche urbane o alle chiese dei principali centri monastici, ma anche a una fitta rete di più piccoli e semplici edifici destinati al culto delle popolazioni che vivevano nelle campagne e nei territori rurali medievali, compreso il Finalese.
Nell’area di Perti si trovano infatti due bellissimi esempi di quella “primer art roman”, come definita dall’architetto e storico catalano Josep Puig I Cadafalch (1867-1956) e da noi indicata anche come il “Protoromanico”.
Gli elementi essenziali che identificano questa architettura sono caratterizzati dall’uso dell’arco a tutto sesto ma anche dal ritorno alla pietra squadrata da cava nella costruzione delle murature. Inoltre questi edifici presentano pareti scandite da lesene destinate a sorreggere archetti pensili nel sottotetto; da semicolonne addossate alle lesene all’interno delle cripte; da strette monofore a doppia strombatura, che lasciavano filtrare la luce all’interno tendenzialmente buio.
Si tratta di un linguaggio architettonico dai caratteri ben definiti, che si diffonde rapidamente in un ampio areale compreso tra l’area subalpina e la regione padana centro-occidentale, la Liguria di Ponente, la Francia meridionale fino a raggiungere la Catalogna.
Tra Noli e il Finale troviamo infatti una serie di edifici protoromanici, datati tra XI e XII secolo, a partire dalla splendida chiesa di San Paragorio a Noli, per proseguire con la chiesa di San Michele, isolata su un’altura che domina l’abitato, e quella di Santa Margherita, su Capo Noli, per giungere, sempre nell’area costiera, alla fase romanica della Pieve di San Giovanni, a Finalmarina.
Ma sicuramente due degli esempi più interessanti di questo tipo di edifici sono presenti nell’impervio entroterra finalese: della chiesa romanica di Sant’Eusebio di Perti si conserva la stupenda cripta con volte a crociera sorrette da quattro pilastri centrali, per i quali fu reimpiegato un piccolo altare votivo in Pietra di Finale datato al I-II secolo d.C.
Molto meglio conservata, nonostante i danni subiti durante il terremoto che investì il Ponente ligure nel 1887, è la chiesa di Sant’Antonino di Perti, eretta sul culmine dell’altura protetta dalle torri e dalle cinte difensive dell’antico castrum bizantino di VI-VII secolo. Anche questa chiesa, a aula unica e dotata di un’abside scandita da lesene che sorreggono archetti pensili con due serie sovrapposte di strette monofore, presenta una piccola cripta nella quale si apre un profondo cunicolo carsico, che un’antica tradizione popolare voleva sede di un oracolo.
I blocchetti squadrati usati per la costruzione di questa chiesa furono estratti dall’antica cava aperta nella parete occidentale del Bric Scimarco, dove si conservano i segni della coltivazione a cesure per il distacco tramite mazzuolo e scalpello dei blocchi lapidei.
Poco lontano, il grande inghiottitoio carsico dell’Arma del Sambuco, o dell’Edera, offre uno dei più suggestivi ambienti naturali dell’entroterra finalese.
A queste importanti testimonianze del passato sarà dedicato un archeotrekking previsto per il prossimo 17 giugno nell’ambito delle iniziative del Museo Diffuso del Finale.