Un paesaggio secolare di alberi e colori.
a cura di MUDIF
In autunno i boschi del Colle del Melogno, dei Settepani e della foresta della Barbottina cambiano il loro aspetto e dal verde lussureggiante dei grandi faggi, dei larici, dei castagni, degli abeti nei mesi estivi il paesaggio si trasforma in una spettacolare tavolozza di colori, con infinite tonalità dal rosso, al giallo, all’arancione, al bruno, in un continuo divenire cromatico che muta col passare del tempo o col variare della luce.
Sicuramente, il “foliage” che offre l’entroterra montuoso del Finale, coperto da una ininterrotta distesa di alberi, per chi lo percorre in questo periodo costituisce un momento esperienziale ricco di emozioni.
Ma i colori di questi boschi non sono solo un paesaggio naturale in continua trasformazione col succedersi delle stagioni; essi tramandano anche un secolare paesaggio culturale.
Un secolare paesaggio culturale
Già nella tavola Peutingeriana, la nota raffigurazione del sistema viario romano datata al IV secolo d.C., la zona montuosa dalla quale nasce il fiume che separa Vadis Sobates, l’attuale Vado Ligure, e Albingaunum/Albenga, è denominata come il Lucus: è il bosco vissuto in senso sacrale dalle genti liguri e popolato da figure mitologiche nella religiosità degli antichi romani.
Così il genius loci, che molti secoli fa animava il “bosco sacro”, è giunto fino a noi, continuando a trasmetterci l’emozione di un ambiente naturale che ha conservato nel tempo tutto le sue suggestioni e il suo pathos.
Per il Medioevo, molti documenti ci confermano la grande cura che riceveva questa zona boschiva, che costituiva un’insostituibile risorsa anche economica, soggetta al controllo marchionale e tutelata da severe norme contenute negli Statuti del Finale del 1310.
I grandi alberi dei boschi del Melogno e della Val Bormida, in particolare i fusti dei faggi e degli abeti, costituivano infatti una importante fonte di materiali, impiegati non solo per la produzione di assi, tavole e travi utilizzate negli interventi edilizi, ma anche nella cantieristica navale.
Già nella tavola Peutingeriana, la nota raffigurazione del sistema viario romano datata al IV secolo d.C., la zona montuosa dalla quale nasce il fiume che separa Vadis Sobates, l’attuale Vado Ligure, e Albingaunum/Albenga, è denominata come il Lucus: è il bosco vissuto in senso sacrale dalle genti liguri e popolato da figure mitologiche nella religiosità degli antichi romani.
Così il genius loci, che molti secoli fa animava il “bosco sacro”, è giunto fino a noi, continuando a trasmetterci l’emozione di un ambiente naturale che ha conservato nel tempo tutto le sue suggestioni e il suo pathos.
Per il Medioevo, molti documenti ci confermano la grande cura che riceveva questa zona boschiva, che costituiva un’insostituibile risorsa anche economica, soggetta al controllo marchionale e tutelata da severe norme contenute negli Statuti del Finale del 1310.
I grandi alberi dei boschi del Melogno e della Val Bormida, in particolare i fusti dei faggi e degli abeti, costituivano infatti una importante fonte di materiali, impiegati non solo per la produzione di assi, tavole e travi utilizzate negli interventi edilizi, ma anche nella cantieristica navale.